Digital Health: a che punto siamo e quali sono i passi necessari? Intervista a Eugenio Santoro

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“Digital Health” è una delle nuove parole incluse nella decima appendice dell’Enciclopedia Treccani. A curarne la definizione, il Prof. Eugenio Santoro, responsabile del laboratorio di Informatica Medica dell’Istituto Mario ed esperto di sanità digitale e nuove tecnologie.

Professor Santoro, “Digital Health” è una definizione che non poteva mancare nell’elenco delle nuove parole del XXI secolo, soprattutto con l’avvento della pandemia che ha velocizzato il processo di digitalizzazione sanitaria. Dalla sua osservazione sul campo, in quali ambiti la “Digital Health” è divenuta una realtà concreta e in quali rimane ancora una definizione astratta?
È una domanda impegnativa. Di fatto, c’è una grande confusione nel definire la Digital Health. Non solo nel tentativo di identificare una nomenclatura, ma anche nell’individuazione di cosa comprenda esattamente la Digital Health. Spesso si indicano come “digital health” cose molto diverse fra loro, come il fascicolo sanitario elettronico piuttosto che la telemedicina, le televisite o qualsiasi cosa inizi con “tele”. Una survey dell’American Medical Association, ad esempio, ha raccolto alcuni dati che risultano piuttosto significativi riguardo questa confusione. Al sondaggio sulla “Digital Health“, ben l’85% dei medici intervistati ha risposto di utilizzare correntemente sistemi di sanità digitale, ma ad un successivo approfondimento è emerso che, in realtà, il 93% di loro eseguiva solamente delle televisite con i propri pazienti, di cui il 69% esclusivamente audio.

In Italia le cose non sono molto diverse e la percezione sull’utilizzo della Digital Health – intesa come sistema complesso e integrato di sanità digitale – può variare anche di molto in base alla formulazione della domanda. Già se si parla di sistemi di telemedicina rispondenti alle recenti linee guida, risultano molto pochi i medici che possono dichiarare di farvi ricorso, per vari motivi. Vi sono però altre realtà dove il ricorso alla sanità digitale è più concreto, come ad esempio la possibilità di utilizzare alcune App dedicate a specifiche tipologie di paziente. Ad esempio, nel caso dei pazienti oncologici, il ricorso agli strumenti di tecnologia digitale è frequente e molto apprezzato. È vero che ancora manca, anche in questo segmento, una specifica formazione di base, ma già si può considerare una buona dotazione di strumenti e scambio dati.  Per esempio uno studio che abbiamo condotto su oltre 500 pazienti oncologici afferenti all’AIMAC (Associazione Italiana Malati di Cancro) ha dimostrato che un paziente oncologico su tre (32%) usa almeno un’App per smartphone dedicata alla salute e 1 su 5 condivide con il professionista i dati che le App raccolgono . La digitalizzazione (e l’archiviazione digitale) di questi dati oggi è messa in pratica dal 47% del campione perché ritiene che ciò possa favorire la cura e l’assistenza personale e famigliare.

Quali sono i principali gap tra infrastrutture e utente? E come possono essere superati?
Dobbiamo innanzitutto distinguere tra infrastrutture e strumenti. Se prendiamo, ad esempio, il fascicolo sanitario ci accorgiamo che la percezione generale – supportata anche da diverse indagini – è quella di uno strumento largamente utilizzato. Ma, in realtà, questi fascicoli spesso vengono aperti senza che il paziente effettivamente li utilizzi, spesso non ne è neanche a conoscenza. Il fascicolo sanitario, in effetti, non è ancora uno strumento alla portata del paziente, e spesso nemmeno del medico. Finora è stato uno strumento quasi esclusivamente amministrativo, utilizzato per calcolare numero e costo delle prestazioni. Un fascicolo sanitario 2.0 è invece uno strumento estremamente utile e auspicabile per medico e paziente. In quest’ottica, il primo gap può essere superato grazie alla riformulazione del fascicolo elettronico in base alle indicazioni del PNRR, che prevede una piattaforma nazionale in cui confluiranno le 21 piattaforme regionali, seguendo una supervisione generale. Il secondo gap è costituito essenzialmente da un problema organizzativo e tecnologico. Quante piattaforme e dispositivi medici sono pronte e disponibili? Finora gli strumenti utilizzati riguardano solo una mediazione audio e video. Per superare questo gap occorre non solo la disponibilità di strumenti, ma soprattutto organizzazione e formazione.

Lei scrive che le tecnologie digitali stanno trasformando il nostro modo di vivere e ha osservato in particolare anche l’efficacia degli strumenti di digital health sulle persone anziane. Quali sono gli aspetti più rilevanti di questa osservazione?
È molto interessante chiedersi cosa funziona e capire come migliorare l’efficacia e l’utilizzo degli strumenti di sanità digitale nel rapporto con le persone anziane. Si parla molto di tecnologie particolarmente avanzate, penso ad esempio ai robot, che dovrebbero svolgere funzioni complesse, ma non sostenute da alcuna evidenza scientifica. Al contrario, tecnologie meno altisonanti stanno ottenendo un ottimo riscontro nel monitoraggio dei pazienti in età avanzata, dimostrando tecnicamente la propria efficacia e validità. In questo caso, inoltre, non è necessaria una particolare formazione dell’anziano per la gestione degli strumenti e questo certamente rappresenta un vantaggio anche pratico.

Anche i medici hanno mostrato perplessità nei confronti della digitalizzazione. Lei ha citato la ricerca “Clinician of the future: a 2022 report”, secondo cui il 71% dei medici ritiene che le tecnologie digitali non costituiscano un aiuto per il medico, bensì un onere, e addirittura considerano che possano inficiare l’empatia con il paziente. Quali metodologie, secondo il suo parere, potrebbero essere di aiuto?
Definirei legittimi i timori dei medici verso le nuove tecnologie, in particolare quando riguardano le perplessità sull’affidabilità degli strumenti diagnostici e il timore di una perdita di controllo sulla gestione del paziente. Negli Stati Uniti, ad esempio, l’American College of Radiology e la Radiological Society of North America hanno richiesto apertamente di rivestire un ruolo decisionale, una supervisione sugli strumenti tecnologici – ovviamente parliamo sempre di strumenti diagnostici certificati. Sono problemi che oggettivamente esistono e devono essere tenuti nella giusta considerazione: il rapporto tra medico e paziente è un rapporto personale composto da molti aspetti, che comprendono anche sensazioni, emozioni, fiducia e un’empatia più difficile a distanza.
Tuttavia, è importante fare delle distinzioni anche in base alle necessità dei pazienti. Specialmente in caso di malattie croniche, ad esempio, la possibilità di effettuare un monitoraggio e tenere sempre aperto, anche a distanza, un canale di comunicazione e supervisione, risulta particolarmente importante: in questo caso, i vantaggi della telemedicina sono decisamente preponderanti rispetto agli svantaggi. Nei casi di alcune malattie su cui ancora oggi pesa uno stigma – penso ad esempio ai pazienti sieropositivi – la distanza, invece di costituire una difficoltà, si rivela un aiuto per il paziente che trova nella mediazione dello strumento tecnologico una sorta di protezione all’esposizione troppo diretta. Vi sono molti casi, insomma, in cui gli strumenti digitali possono migliorare l’aderenza al trattamento, e questo è un dato di fatto.
D’altro canto, la perfetta affidabilità non esiste, anche perché restano errori di programmazione, specialmente nel campo dell’intelligenza artificiale, che derivano direttamente da errori umani. Personalmente, lo scorso autunno ho fatto parte di un gruppo di lavoro del Consiglio Superiore di Sanità da cui è scaturito un interessante documento che raccoglie la posizione del Ministero della Salute sull’intelligenza artificiale in ambito diagnostico. Contiene una serie di raccomandazioni che possono favorire l’introduzione, anche in Italia, di questo genere strumenti di strumenti. In breve, il documento segnala che c’è bisogno di più ricerca clinica a sostegno della affidabilità di questi strumenti, di un organo istituzionale decisionale in merito all’opportunità e alla validità, di linee guida per lo sviluppo dei nuovi strumenti diagnostici, e anche di un Osservatorio per una valutazione degli strumenti anche in seguito alla loro approvazione

Lei, difatti, ha anche osservato come negli strumenti diagnostici digitali si riscontrino le medesime valutazioni errate della medicina tradizionale, portando ad esempio la medicina di genere: app calibrate sul genere maschile e varie sottorappresentazioni che rischiano di creare nuove disuguaglianze.
È vero, e non solo perché gli algoritmi su cui si basano le principali tecnologie sono calcolati prevalentemente su una sola tipologia di persona. È anche emerso, dalle recenti statistiche, che gli strumenti di digital health sono utilizzati prevalentemente proprio da chi ne ha meno bisogno, anche per una capacità di utilizzo e una effettiva possibilità di accesso. Questo rischia di creare nuove disuguaglianze, mentre bisognerebbe mettere tutti, senza distinzioni, nella condizione di usufruire degli strumenti di sanità digitale. E, laddove le risorse, come sappiamo, non sono infinite, operare delle scelte programmatiche in grado di individuare le categorie per cui ha più senso facilitare l’accesso.

Rimanendo sul tema dell’utilizzo delle nuove tecnologie da parte dei medici, quali sono i compromessi che il linguaggio medico dovrebbe raggiungere per ottenere una comunicazione efficace sui social, in grado di arrivare al pubblico e contrastare la diffusione delle fake news?
La comunicazione e la promozione della salute attraverso gli strumenti di utilizzo quotidiano, come i social e la rete in genere, rientrano certamente nell’ambito della prevenzione, ma è necessario che i medici possano utilizzarli in maniera adeguata, utilizzando dunque un linguaggio comprensibile e idoneo allo strumento mediatico, allo stesso tempo senza perdere la credibilità scientifica. Penso ad esempio ad un social come Tik Tok, dove la comunicazione avviene attraverso musica e ballo. Certamente non è concesso a un medico utilizzare il ballo come mezzo di comunicazione, ma si può trovare anche qui un compromesso, adeguando il messaggio che si vuole far arrivare a quel linguaggio. Alcuni social sono di più semplice utilizzo, ad esempio Twitter è certamente uno dei mezzi su cui i medici potrebbero e dovrebbero far sentire di più la propria voce.

 

 

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