Nel 1949, l’antropologo francese Claude Lévi-Strauss introduce il concetto di efficacia simbolica per analizzare il canto sciamanico dei Kuna di Panama per la cura dei parti difficili. Il canto agisce come un dispositivo metaforico che consente alla paziente di dare ordine a una esperienza di caos fisico e psichico e in questo risiede il suo potere terapeutico. Non necessariamente però questo effetto di cura è ancorato al significato delle parole del canto.
Le ricerche successive, infatti, hanno mostrato che la lingua dello sciamano è incomprensibile alle partorienti. Secondo Carlo Severi, il canto rituale contribuisce a creare un campo proiettivo condiviso che produce una “illusione percettiva guidata” e fa emergere ciò che non riuscirebbe a essere formulato in altro modo. Il canto abilita l’immaginazione della paziente, facilitando il percorso di risposta positiva alla situazione. “Un canto che racconta una storia stereotipata – la stessa per tutti – diviene un’immagine sorprendentemente fedele dell’esperienza e della storia segreta del paziente. E ciò semplicemente perché è il paziente stesso a costruire per sé la propria efficacia simbolica”.
L’analisi antropologica sull’efficacia simbolica trova corrispondenze significative negli studi sugli effetti nocebo e placebo. Per Howard Brody (2000) il corpo umano è cablato per tradurre l’immaginazione in forze naturali che guariscono. Il neurofisiologo Fabrizio Benedetti (2018), tra i massimi esperti degli effetti placebo e nocebo, racconta la cura come un rituale in cui si somministrano non solo farmaci ma anche spazi, odori, colori, parole, cioè stimoli sociali e simbolici. Il placebo non è semplicemente un farmaco finto, è l’insieme di questi stimoli.
La cura non è solo un atto clinico, è anche un dispositivo simbolico. E come tale può generare effetti placebo o nocebo, a seconda della qualità dell’esperienza che accompagna la terapia.
Il setting di cura – l’ambiente fisico, ma anche quello relazionale– non è neutrale. In oncologia, questo è particolarmente evidente. Per alcuni pazienti, l’ospedale non è solo un luogo di cura, ma un potente stimolo anticipatorio di potenziali sintomi. Succede spesso che i pazienti comincino a sentirsi male già solo varcando la soglia di ingresso del day hospital, o quando sentono determinati odori o suoni. I corpi reagiscono prima ancora dell’infusione, attivati da una memoria fisica ed emotiva stratificata, come mostrano gli studi sull’anticipatory nausea and vomiting (ANV).